Nel settembre del 1969 DS fu la prima auto francese ad adottare in serie un sistema di iniezione elettronica, altra dimostrazione dello spirito di avanguardia che contraddistinse il marchio fin dalle sue origini.
Dalla nascita dei primi motori a benzina tecnicamente definiti “a combustione interna”, si pone il problema di dosare l’esatta quantità di carburante per ottenere un buon rendimento, senza inutile consumo di carburante.
In pratica, si tratta di avere una miscela tra aria e benzina da inserire nei cilindri del motore, una miscela in cui il rapporto tra gli elementi sia ottimale in ogni condizione di funzionamento e quindi non costante ma variabile in base a diversi fattori, come il numero dei giri del motore, la sua temperatura e la richiesta di potenza da parte del conducente. Infatti, se una miscela fatta con una parte di benzina per diciotto parti d’aria è ottimale per un funzionamento al minimo, non va bene per l’uso stradale che richiede una miscela di 1/15 o nel caso di una richiesta di potenza, ad esempio per un sorpasso dove sarebbe ottimale avere una parte di benzina ogni tredici parti d’aria, dosaggi che però possono variare in funzione di temperatura del motore, pressione barometrica, temperatura dell’aria eccetera, eccetera…
Come risolvere questo problema? La prima risposta arrivò alla fine dell’800, con l’arrivo del carburatore, dispositivo che -lo dice la parola stessa- serve a variare la miscela tra aria e benzina (carburare) in base alla posizione dell’acceleratore, che dispone generalmente di un “parzializzatore” che riduce l’aspirazione d’aria in fase di avviamento (starter) e che tramite una pompa di ripresa permette di “spruzzare” benzina in più durante le accelerazioni. Ma i carburatori meno sofisticati (in genere tutti quelli privi di controllo elettronico) non sono in grado di variare la miscela in base ai dati ambientali, fornendo al motore una carburazione “buona per tutte le occasioni”, ma raramente “perfetta”.
La svolta vera arrivò nella seconda metà degli anni ’60, quando leggi ambientali via via più stringenti (specialmente negli Stati Uniti che fino a quel momento avevano trascurato il problema) spinsero i costruttori a trovare nuove soluzioni, rese possibili dal progresso tecnologico.
Così nel settembre ’69 la DS fu la prima auto francese ad adottare in serie un sistema di iniezione a controllo elettronico nelle versioni DS21 e poi DS23 berlina e Cabriolet, riconoscibili per la scritta Injection Electronique sul cofano bagagli, sotto al monogramma del modello.
Il sistema di iniezione elettronica rappresentava un deciso salto in avanti rispetto ai pur ottimi carburatori prodotti dall’italiana Weber, fabbrica bolognese che forniva questi componenti montati sulle DS: l’iniezione elettronica modulava infatti la carburazione tramite un calcolatore che calcolava per ogni giro del motore la giusta miscela di aria e benzina e donava alla DS ulteriore potenza e consumi più bassi, permettendo una varietà di rapporti aria/benzina pressoché infinita ed adattata alle condizioni di temperatura motore e ambientale, pressione dell’aria e richiesta di potenza da parte del conducente.
La DS21 passò così dai 180 ai 195 km/h di velocità, da 115 a circa 130 cavalli SAE (che divennero 140 sulla DS23IE) con maggior morbidezza di funzionamento ed un avviamento sempre pronto con motore freddo o dopo una veloce “sgroppata” autostradale.
A differenza dei sistemi di iniezione elettronica più moderni, infatti, il sistema montato sulle DS non aveva una “mappatura” e ricalcolava permanentemente i parametri di iniezione migliori in funzione delle variabili automaticamente fornite al calcolatore. Più costoso per numero di componenti e per la sofisticata tecnologia degli stessi, dal 1972 fu adottato di serie anche sui prestigiosi modelli SM, sino ad allora alimentati con tre carburatori Weber, difficili da calibrare, donando anche alla grande coupé quella fluidità di erogazione degli oltre 180 cavalli del suo motore Maserati, poi divenuta proverbiale e distintiva dei modelli “alto di gamma” del marchio francese.