LA NASCITA DELLA CITROËN AMI6: LA SFIDA VINTA DALL’ITALIANO FLAMINIO BERTONI

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Questa è una storia tipicamente Citroën, dove nella progettazione di un’auto, l’aspetto umano è predominante su ogni altro.

I protagonisti principali sono il designer varesino Flaminio Bertoni, il Direttore Generale Pierre Bercot, da poco arrivato in Citroën e l’ingegnere capo André Lefebvre.

Tutto comincia nella metà degli anni ’50, quando serviva una vettura “media”, di circa un litro di cilindrata, da inserire in gamma tra la 2CV e la DS19. Purtroppo però alcuni fattori avevano drenato le risorse economiche della Marca del Double Chevron tra cui la guerra, il difficile periodo della ricostruzione e l’incredibile lavoro di ricerca e progettazione che avrebbero portato, tra il 1947 ed il 1955, al lancio di tre veicoli quali il furgone Type-H, la 2CV e la DS19.

Non mancavano le idee: da vetture super-aerodinamiche come la C10, la “goccia d’acqua” di Lefebvre alla C60, da produrre in due versioni, a 2 e 4 cilindri boxer raffreddato ad aria, con sospensione a barre di torsione o idropneumatica… Mancavano purtroppo le risorse economiche ed il personale da dedicare allo sviluppo e all’industrializzazione di uno di questi progetti.

È più o meno qui, nel 1956/’57, che ha luogo una riunione tra i capi del Centro Studi di Citroën e Pierre Bercot, che dall’anno successivo sarà Presidente e Direttore Generale della Marca.

La richiesta di Bercot è estremamente sfidante: creare una “media” a quattro porte, con motore di meno di un litro, capace di portare quattro persone e tutti i loro bagagli con un comfort di “stampo Citroën”. Senza dotare l’auto di portellone (che Bercot non amava) ma con una linea a tre volumi.

Questo era già un capitolato difficile, ma la frase finale fu quella che fece scuotere il capo ai progettisti presenti: “tutto questo usando il pianale e la maggior parte degli organi meccanici della 2CV”.

A questo punto, dopo i saluti (piuttosto tesi) tra Direzione tecnica e commerciale, la discussione si spostò al Centro Studi dove li aspettava Flaminio Bertoni, lo stilista entrato in Citroën nel 1932 e che aveva già donato alla Marca francese capolavori quali la Traction Avant, la 2CV e la DS19.

Bertoni ascoltò il resoconto dei colleghi, poi senza scomporsi rispose “beh, si può fare” e aggiunse “ma devo parlare direttamente con Pierre Bercot”.

«L’italiano», come era chiamato Bertoni in azienda, era famoso per esser capace di indugiare per lunghi periodi su un progetto e poi, sotto pressione, escogitare soluzioni geniali quanto definitive in pochi minuti.


Non c’è stupore al Centro Studi: quando Bertoni dice “si può fare”, tutti sanno che ha già in testa una soluzione, magari ai limiti dell’impossibile, ma ce l’ha!

Così Bertoni incontra Bercot e si fa ripetere le regolette: pianale 2CV, irrobustito dove serve, carrozzeria a tre volumi e quattro porte, ampio bagagliaio separato dall’abitacolo. Bertoni annuisce e dice “scommettiamo che io ci riesco”. Bercot sorride “non amo scommettere, ma farò un’eccezione”.

 

Bertoni si ripresentò da Bercot pochi giorni dopo con un modello in gesso della nuova auto.

C’era il cofano anteriore, profilato e aerodinamico, c’erano i fari anteriori integrati nel frontale, una linea “Ponton” che collegava il frontale al retro della vettura ed un grande bagagliaio di oltre 350cm³ di volume. Ma il tetto… Un grande tetto in resina, come quello della DS, partiva dall’ampio parabrezza anteriore e arrivava ben oltre la testa dei passeggeri, per poi “tornare” indietro fino alle loro spalle, lasciando abbondante spazio alle teste degli occupanti del sedile posteriore! Una linea a “Z” inedita che permetteva di alloggiare comodamente i quattro passeggeri ed il loro bagaglio sul pianale della 2CV.

Bercot rimase impressionato: tutti gli organi meccanici della 2CV, col motore portato a 602cc di cilindrata dai 425 della 2CV. Telaio irrigidito ma del tipo 2CV: stesse quote, carrozzeria con piani sagomati ed ampie scalfature per permettere l’uso di lamiere più sottili a parità di rigidezza dell’insieme.

Bercot era perplesso… Ma alla fine la soluzione di Bertoni era funzionale, efficace e rispondeva alle richieste…

Quello che nessuno sapeva, tranne Bercot, ovviamente, era che quell’auto era il punto di inizio di un grande progetto, ricco di risvolti sociali, che da lì a poco sarebbe partito in Bretagna, una regione della Francia che stava vivendo un periodo di forti tensioni per la scarsità di lavoro (i bretoni erano essenzialmente dediti alla pesca) e che avrebbe visto Citroën impegnata al fianco del governo De Gaulle nel dare una nuova, grandissima fabbrica alla regione del Nord della Francia.

Era deciso: la nuova “media” sarebbe stata prodotta a Rennes, in una nuova fabbrica a ciclo completo che sarebbe stata pronta entro la fine del 1960!

E il nome? Un gioco di lettere e di pronuncia, come costume della DS (la Dea, la sigla si pronunciava DéeSse): si trattava di una “A” (sigla della 2CV) per il “Mi” inteso come “gamma media” con un 6 che letto alla francese veniva fuori “L’Amicizia”. Voilà!

La costruzione dello stabilimento, tra visite a sorpresa del Generale de Gaulle che sorvegliava personalmente i progressi e allestimenti d’avanguardia, proseguì fino all’inizio del ’61, ma i reparti completati avevano già avviato le macchine così i primi esemplari erano già pronti a febbraio.

Bercot attese sino all’aprile, quando convocò i giornalisti presso l’aeroporto militare di Villacoublay, nei pressi di Parigi per presentare loro l’AMI6.

Contemporaneamente (lo stesso 24 aprile 1961) l’auto veniva presentata anche in Belgio, Germania, Svizzera e Italia, ma non in Francia: era in corso il “Putsch di Algeri” da parte dei generali ribelli e dalla location scelta, l’aeroporto di Villacoublay partivano ed atterravano continuamente gli aerei dei reparti speciali francesi!

Lo show fu quindi spostato all’interno del salone sugli Champs-Élysées dove una vettura era presente (coperta) da alcuni giorni.

Nonostante questo episodio, l’accoglienza della Stampa per la nuova AMI6 fu tutto sommato buona: l’auto era più silenziosa, più veloce e nel complesso più confortevole della 2CV. Fu elogiato lo spazio per i quattro passeggeri, per il loro bagaglio, l’economia di esercizio e la scelta di particolari comuni con le ID e DS, come le maniglie interne, il design di quelle esterne, la forma del volante (monorazza) e molte componenti della plancia di bordo.

 

L’evoluzione dell’AMI6 portò una versione Break nel 1964 e ad un incremento delle prestazioni grazie a motori più compressi ed altri totalmente nuovi (dal 1968), la potenza passò da 18 a 35 cavalli, a parità di cilindrata e quando nel 1969 l’AMI6 lasciò il testimone all’AMI8, la vettura mantenne quel mercato che ne aveva fatta per due anni consecutivi l’auto più venduta di Francia, nonostante prezzi di vendita tutt’altro che popolari. L’AMI8, uscita dalla matita dell’assistente di Bertoni, Robert Opron, si presentava più moderna e anche più filante nella versione berlina.

 

Complessivamente prodotta in oltre 2.500.000 esemplari, l’AMI rimase a listino Citroën per 17 anni, fino al luglio del 1978, quando fu progressivamente sostituita dalla VISA, appena lanciata.