STORY RENAULT SCENIC INVENTARE E REINVENTARE

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Nel 1991, al Salone dell’Auto di Francoforte, Renault presenta al pubblico una concept-car che ha un nome “Scénic” e un sottotitolo “Invito al viaggio”. Si tratta di una monovolume compatta stile “cocoon car” super innovativa che avrebbe dato origine, cinque anni dopo, alla prima monovolume compatta del mercato: Mégane Scénic. Oggi denominato Scénic, questo modello, inimitabile best seller, è diventato un’icona. La sua progettazione è stata una vera e proprio manna per i designer di quei tempi.

Progettare un veicolo dall’interno all’esterno capita una sola volta nella vita

Louis Morasse 

The Scenic Concept a.k.a “An invitation to Travel” aside Renault Megane Scenic 1 

UN PROGETTO UNICO NEL SUO GENERE

Negli anni 1990, prima Espace e poi Mégane Scénic sono le regine delle auto da vivere di Renault. Bisogna dire che il capitolato della futura Mégane Scénic era molto chiaro nella mente dei designer del progetto di cui faceva parte Louis Morasse: ogni passeggero deve avere il suo sedile, la luminosità è di fondamentale importanza, le sedute sono sopraelevate per una buona visibilità della strada, tutto è fatto per la vita a bordo. In sintesi, le monovolume Renault devono far viaggiare, in senso proprio, ma anche figurato!

Con questi obiettivi ambiziosi, il progetto Mégane Scénic è unico nel suo genere: il veicolo sarà progettato dall’interno all’esterno. Nasce così l’ingegneria degli interni.

With Renault Megane Scenic 1, colors were queen 

La linea esterna di Mégane Scénic, invece, rientra perfettamente nei canoni dell’epoca, con ellissi e forme arrotondate e morbide. Non si dimentica la parentela con Mégane.

«Con Scénic, si è data la priorità a tutti i passeggeri. Non dev’essere una punizione prender posto sui sedili posteriori di Scénic», spiega Louis Morasse.

A quei tempi, erano di moda le berline GTI, auto che davano forti sensazioni ai conducenti. Mégane Scénic, invece, si rivolge alle famiglie. I designer di Renault raccolgono la sfida di dare la priorità a tutti i passeggeri a bordo. Nell’abitacolo ci sono pertanto cinque posti individuali, una modularità fuori dal comune, moltissimi vani portaoggetti e un bagagliaio voluminoso. Il tunnel della trasmissione si nasconde sotto il doppio pianale interno che è, quindi, piatto. Questo accorgimento non è solo estetico: consente di ottenere tanti vani portaoggetti “nascosti”, ma anche di sopraelevare i passeggeri e il conducente, garanzia di miglior visibilità nonché di maggior sicurezza attiva e passiva. Il successo di Mégane Scénic sarà immediato e clamoroso. Nel 1999, questo modello conquista l’indipendenza adottando il solo nome Scénic.

 

On Scenic’s board everything is shared even the instrument panel which is central 

«SCÉNIC 2 E SCÉNIC 3 HANNO SPINTO OLTRE I LIMITI»

Nel 2003, la seconda generazione di Scénic diventa una vera e propria gamma, essendo l’unica monovolume del segmento delle compatte a proporre 3 versioni: una versione corta a 5 posti da 4,30 m e due versioni lunghe Grand Scénic a 5 o 7 posti da 4,50 m.

All’interno, Scénic 2 supera l’ingegnosità del modello precedente introducendo il bracciolo centrale scorrevole, un cruscotto centrato con display digitale, la console centrale con la leva del cambio in posizione alta e vani portaoggetti per oltre 91 litri in tutto l’abitacolo. Aumentando la luminosità, il parabrezza panoramico e il tetto apribile incrementano la sensazione di spaziosità.

Con la terza generazione, lanciata nel 2009, l’abitabilità è ineguagliabile, con 92 litri di vani portaoggetti, ma anche un raggio alle ginocchia dei sedili posteriori e uno spazio per la terza fila al top della categoria. La modularità è spinta ai massimi livelli con la possibilità di ripiegare a tavolino i sedili posteriori, oltre al sedile del passeggero. Con i montanti del parabrezza spostati indietro, luminosità e visione aumentano ulteriormente. L’abitacolo è letteralmente inondato di luce.

«Noi di Renault eravamo all’apoteosi delle auto da vivere negli anni 1990. Volevamo un veicolo davvero dedicato alle famiglie dove ognuno potesse trovare il suo posto» ricorda Louis Morasse, che ha contribuito a questa apoteosi.